Lo yoga è un mondo vastissimo di pratiche e concetti che alle volte sembrano contraddirsi tra loro, ma che in realtà sono utili a seconda dell’uso che vogliamo farne. Le differenze però diventano fondamentali, non tanto per decidere ciò che è giusto e ciò che è sbagliato, ma cosa preferiamo praticare o cosa è più adatto a noi. Questo dipende da che strada decidiamo di percorrere e.. dal nostro ‘stile di guida’.
Provando diversi stili a volte mi sono annoiato, a volte entusiasmato, a volte piacevolmente sorpreso.
Su tutti, due hanno avuto un impatto più profondo e mi hanno stimolato ad una pratica più continuativa: l’anukalana e l’ashtanga vinyasa. Entrambi hanno qualcosa di speciale e unico. Immaginiamo questi due stili come due automobili belle, comode, sicure, veloci ed affidabili per accompagnarci nel viaggio della nostra vita. Una col cambio manuale e più confortevole e accessoriata, ed una col cambio automatico, spartana e resistente agli urti.. in che senso? Vediamo.
L’ashtanga vinyasa
Il mio primo amore. Quando mi sono approcciato a questa pratica conoscevo e praticavo già lo yoga ma non immaginavo che potesse essere così impegnativo a livello fisico. D’altra parte questo non è il lato più distintivo di questa pratica, anche se è il più conosciuto e il più decantato. All’epoca cercavo una routine quotidiana precisa e sicura che mi tenesse in buona forma fisica, ma ho trovato di più.
L’ashtanga vinyasa è molto efficace per entrare nelle posizioni e mantenere gli allineamenti corretti e nel tempo prepara il corpo a padroneggiare in sicurezza posizioni anche molto impegnative.
Praticato con regolarità e gradualità, dà risultati fisici straordinari, ma, oltre a questo, è anche un ottimo esercizio di pranayama e una meditazione in movimento. Ci si accorge di questo una volta che si è imparata la serie e si pratica da un po’. Il respiro diventa un mantra e la sequenza diventa una danza di consapevolezza.
Non impegnando la mente a decidere via via, ci si può rilassare nel movimento e l’impegno fisico fa staccare il ragionamento. Nei mesi, facendo sempre la stessa sequenza, si entra piano piano nel ruolo del testimone che può osservare i propri progressi come fossero i fiori di una piantina che annaffiamo con amore.
Piano piano ci si accorge che la pratica lavora anche dal punto di vista più sottile. Si sviluppa una maggiore forza mentale, perseveranza e attenzione.
Il percorso è tracciato e graduale e ci permette di guidare ‘in automatico’ e di goderci il paesaggio e rigenerarci. E un sentiero così ben tracciato aiuta a sviluppare la pratica con una certa indipendenza, anche senza dover frequentare regolarmente un corso.
Un aspetto ostico sta nella rigidità della pratica: la routine è quella. A chiunque pratica ashtanga vinyasa è capitato di vedere come alcune volte sembri una passeggiata mentre altre una montagna da scalare! Le nostre giornate però possono essere molto diverse e certe volte potremmo aver bisogno di una pratica più rilassante, più modulabile, o che dia più spazio alla nostra espressività. Questo limite, nel lungo periodo, rende l’ashtanga vinyasa una pratica impegnativa da mantenere con continuità. Un altro rovescio è che, essendo una pratica molto fisica, non spinge di per sé a prendere in considerazione una vasta gamma di pratiche yogiche più sottili ma altrettanto importanti o praticabili anche in momenti no del nostro corpo.
L’anukalana
Un altro grande incontro. L’anukalana, pur avendo solide fondamenta, per principio è meno strutturato. Come la sua qualità di movimento è più fluida e sinuosa, così tutto questo stile prende la forma del recipiente che lo contiene. Mi spiego meglio.
L’anukalana parte dall’elemento acqua. Sia le transizioni che il modo di respirare durante un’asana si basano sul rendere il movimento “liquido”. Man mano che si assimila quest’idea la pratica diventa sempre più gradevole ed efficace. Per apprenderla si sottolineano di volta in volta diversi aspetti che nel tempo cominciano ad integrarsi tra di loro: la respirazione articolare, l’onda vertebrale, l’uso ritmico e pulsativo dei bandha. E piano piano si sviluppa un atteggiamento più morbido col proprio corpo che favorisce l’allungamento, dona eleganza, scioltezza e coordinazione. Come succede in un ambiente liquido, si riescono qui a miscelare principi non solo dello yoga ma anche del tai chi, del chi kung e della fisiologia occidentale per dare forma ad uno stile originale, innovativo e molto efficace.
Questo stile si adatta facilmente a pratiche molto rilassanti come a pratiche molto dinamiche. I movimenti morbidi danno la sensazione di un auto massaggio e aiutano ad entrare comodamente anche in posizioni altrimenti impegnative. Le transizioni diventano una morbida danza che coinvolge tutto il corpo dandoci un senso di integrazione, facilità e leggerezza. I principi della respirazione aiutano a portare vitalità e movimento anche nella staticità delle asana rendendole più organiche. È una pratica davvero stupefacente quanto ad efficacia e a… godimento.
D’altra parte però è come una macchina più delicata e.. ‘col cambio manuale’: inizialmente è più complessa e può essere più impegnativo osservarne tutti i dettagli, soprattutto per quanto riguarda la respirazione. Bisogna padroneggiare una serie di principi da assimilare per gradi e, data la fluidità delle transizioni, inizialmente può essere più difficile trovare gli allineamenti ottimali di alcune asana, anche se la morbidezza con cui si eseguono le rende comunque sicure.
La varietà di transizioni proposte dall’Anukalana può essere utile nelle mani di un buon maestro per creare sequenze efficaci e coinvolgenti. L’anukalana si può anche adattare maggiormente alle necessità del singolo e può essere molto efficace come yoga terapia per questioni specifiche.
Nella propria pratica quotidiana l’anukalana lascia più spazio alla sperimentazione, ma rischia di aprire la porta a discontinuità e dispersività se non si hanno obbiettivi chiari e una buona disciplina mentale. Non avendo paletti rigidi come l’ashtanga vinyasa, può diventare più suscettibile ai nostri alti alti e bassi e richiede una certa conoscenza per organizzare e aggiustare le sequenze da sé in maniera equilibrata. Viene anche attenuato il forte aspetto rituale e meditativo di una pratica sempre uguale a se stessa.
Queste considerazioni dipendono in parte dalle mie tendenze personali. Avendo una certa predisposizione alla dispersività ho trovato nella sequenza dell’ashtanga qualcosa che mi ha aiutato a strutturarmi e darmi una stabilità, mentre praticando l’anukalana ho trovato una maniera più personale di progredire nella pratica, ma anche la necessità di un impegno mentale maggiore per tenere a bada la tendenza alla mutevolezza. Per persone più strutturate e metodiche invece l’ashtanga può accentuare una certa rigidità e durezza e l’anukalana essere una liberazione. Ma questi sono dettagli. Si sta comunque parlando di due pratiche estremamante valide.
Al di là dello stile che si sceglie, però, la differenza la fa riuscire ad integrare la pratica, anche se breve, nella propria vita quotidiana. Ogni giorno lo yoga ci dà la possibilità di riaccordare lo strumento straordinario che abbiamo per sperimentare la vita.
Mantenere il corpo sano è una delle cose migliori che possiamo fare nella nostra vita, non solo perché il corpo è il tempio dell’anima, ma anche perché, a pensarci bene, è l’unico posto in cui dobbiamo vivere.
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7 pensieri riguardo “Anukalana o Ashtanga Vinyasa? Due stili di yoga a confronto”